martedì 28 giugno 2011

Una pizza a Genzano? No, un pranzo a Genazzano

Ora, questo post poteva anche chiamarsi “il post degli equivoci”. Tutto era iniziato a Vico Equense, quando avevamo scambiato lo chef Marco Bottega per un cameriere e gli avevamo chiesto una pizza. Lui per tutta risposta ci ha invitate a passare una bella giornata al suo Aminta Resort, per un bagno in piscina e “uno spuntino”. 
Invito accettato volentieri, ma visto che io sono stordita, dopo essere arrivata a Ciampino in treno – con l’aggravante di un caffè – ho detto alla mia amica (e per l’occasione autista ) che dovevamo andare a Genzano. Arrivate nell’ameno paesino, controllo l’indirizzo e mi rendo conto che in realtà volevo dire Genazzano. Non esattamente agli antipodi, ma insomma ci saremmo potute risparmiare un bel giro panoramico per i Castelli Romani! 

Arriviamo all’Aminta praticamente a ora di pranzo, quindi niente bagno in piscina e… altro che spuntino! Marco ci ha fatto assaggiare tutto il suo menu, quello che ha chiamato “quello che mangerei io” (a 75 euro per 9 portate compresi acqua, pane e coperto, ma ce n’è anche uno più easy a 27 euro, che credo sia il degustazione più economico d’Italia in un ristorante del genere)… e come fai a dirgli di no? Con grande sacrificio, dopo un calice di bollicine – lo chef ha la passione per gli Champagne, con una carta impressionante di etichette - ci siamo sedute a tavola e abbiamo mangiato tutto quello che ci ha proposto, a cominciare dai pani fatti in casa con l’extravergine ligure Terre Bormane, servito nel bel taste-à-huile.

Poi, per iniziare sul serio, un buonissimo supplì, che pare stia diventando in effetti il must gastronomico della stagione, soprattutto nel Lazio. 






Segue il Cubo di manzo, salsa di zucca allo zenzero, e un ricordo di tartufo già assaggiato (e bloggato) al Vinoforum, ma ancora più buono.
Poi un altro piatto abbastanza “estremo”, che stride un po’ con la vena “pulita” della cucina di Marco Bottega ed è forse il più cerebrale (insieme alla lepre bruciata, ma in direzione totalmente opposta) dei piatti assaggiati: la vitella con limoni di Sorrento. Opulento, con la grassezza della testina appena smorzata dalle scorze di limoni della costiera e quasi esaltata invece dalla sapidità della spuma di ostriche, è un omaggio alla tradizione tutta campana del “musso” di maiale col limone che veniva venduto dagli ambulanti, e alla sua esperienza con Alfonso Caputo alla Taverna del Capitano. 



Totalmente diverso il piatto seguente, che era poi uno dei motivi della visita, visto che non ero riuscita ad assaggiarlo a Vico: il Gambero Rosso con pane, olio e sale mi è piaciuto tantissimo: un inno alla semplicità intesa come esaltazione delle materie prime, da quelle basilari della dieta mediterranea (pane, olio – sempre quello di Terre Bormane - e sale, appunto, più semplice di così…) alla materia ittica pregiata, certo, ma lasciata inalterata, fatta salva la salsa di teste di gamberi che dava lo sprint finale al piatto, insieme alla componente vegetale degli asparagi crudi.


Altro piatto (fuori carta), altri gamberi: in questo caso i più delicati gobbetti, appena scottati e serviti con verdurine croccanti e fiori e accompagnati da una maionese “acida” fatta in casa, in una composizione esteticamento molto elegante e buonissima da mangiare!



Instancabili, proseguiamo con l’insalata di polpo con patate e cicoria croccante: altro esempio geniale di come la semplicità possa essere la chiave vincente, quando ogni cosa è semplicemente perfetta: dalla texture del polpo cotto appunto alla perfezione (né gommoso, né molle) e pieno di sapore alla cremosità delle patate non del tutto schiacciate, fino al tocco croccante e leggermente amarostico della cicoria esaltato dall’extravergine, questa volta quello più intenso e deciso della casa (L’Aminta è anche un agriturismo con 55 ettare di terreno su cui crescono ortaggi, frutta, animali e olivi). Buonissimo. 


Ed ecco la lepre “bruciata” che avevo già assaggiato l’anno scorso. Marco dimostra ancora una volta di avere il coraggio per usare, e di aver tratto il meglio da due suoi maestri: Salvatore Tassa e Massimo Bottura. Questo piatto racchiude da un lato l’approccio terragno e minimale, che punta dritto al sapore, di Tassa, dall’altro la cerebralità dello chef emiliano, e il suo gusto (a volte contorto, ma che porta sempre a risultati strabilianti) per il “ripercorrere” la vita di un prodotto: ed ecco il gioco di temperature e cotture per riportare la carne – una carne non facile, poi – al suo sapore originario, una specie di “crudo non crudo” finito dall’”illusione” della crosticina bruciata in superficie che in realtà è data dal carbone vegetale, che aggiunge anche un tocco pepato e balsamico al piatto.

Ma il bello deve ancora venire: il piatto del giorno (ma direi che ha buone possibilità di candidarsi a piatto dell’anno) è Pane e porchetta: sei tortelli disposti su una lastra d’ardesia, apparentemente senza condimento eppure capace di mantenersi morbi e succosi a lungo. Il segreto è nell’impasto – fatto con le uova embrionali secondo la tradizione pulp emiliana/botturiana (quelle, ci racconta Marco, prelevate dalla gallina ammazzata prima che le deponesse, quindi non ancora del tutto sviluppate e più ricche di materia proteica) e con la farina “tagliata” con una percentuale di crosta di pane macinata, per ridurre la carica glutinica dell’impasto e dare un sapore di “pane” – così come nel ripeno, a base di porchetta cotta al forno a legna, con tutto il suo sapore pieno e verace. 


Leggermente affaticate proseguiamo con il lombo di agnello allo spiedo con crema di erbe della nostra campagna. Anche qui presentazione elegante, cottura perfetta e grande equilbrio tra gli ingredienti, con la delicatezza della crema per nulla coperta dal sapore (presente, ma discreto) della carne e ravvivata dalle molliche di pane croccante all’olio. 







Non si sa come arriviamo in fondo anche al dessert, una coppa di yogurt di capra con frutti di bosco mandorle e cioccolato Guanaja molto più fresca e delicata, grazie alla componente acida, di quello che ci si sarebbe potuti aspettare a prima vista.







Insomma, un pranzo eccellente – terminato con la visita all’orto e alla nuova cantina dove sono conservate non solo le bottiglie di vino ma anche salumi pregiati e altri prodotti “autarchici” o meno, da acquistare o assaggiare in occasione di merende rustiche alla tavolata di legno – inframezzato da un’interessante chiacchierata con Marco che, al di là dei suoi modi scanzonati e sempre allegri, si dimostra non solo uno chef di alto livello e di grande esperienza, ma anche e soprattutto una bella persona.

AMINTA RESORT
Via Trovano 5
Genazzano (Roma)
Tel: +39.06.9578661 

www.amintaresort.it
 

domenica 26 giugno 2011

Da Teo a Trastevere

Prima si chiamava "Da Enzo", ed era un buco di locale molto spartano e casereccio che stava in via dei Vascellari (una carinissima stradina nel lato "quieto" di Trastevere, piena di botteghe e negozietti da scoprire), ma in cucina ci stava Teo e si mangiava bene (pagando poco).
Ora si chiama "Da Teo", sta affacciato su piazza dei Ponziani (praticamente di fronte a dove stava prima) ha qualche tavolino all'esterno sotto al gazebo nella tranquilla piazzetta e molti piu' tavoli dentro, l'atmosfera e' sempre informale, in cucina ci sta Teo e si mangia sempre bene (pagando poco), naturalmente.
A parte il nome diverso, quando l'ho scoperto grazie ad un'amica che lavora li vicino (All'erboristeria-centro benessere Nelumbo, andateci se vi volete regalare un po' di relax, magari prima di cena!) questo indirizzo e' diventato la mia risposta fissa alla classica domanda "mi dici un posto a Roma dove mangiare bene, cucina tipica, senza spendere troppo? Ah, magari a Trastevere cosi' prima o dopo facciamo una passeggiata".
Lo scorso inverno ci avevo mangiato una minestra di broccoli e arzilla buonissima, e un ottimo tiramisu (nonostante le pressioni per farmi scegliere la coppetta di crema al mascarpone con le fragoline).
Ieri sera sono tornata con amici nella nuova sede, e abbiamo mangiato: carciofi e fiori di zucca fritti, il pasticcio di patate della casa (uno strano "pasticcio" di patate e pomodoro, ma buono), una amatriciana, una carbonara (io, molto buona anche se con un po' troppo uovo per i miei gusti), spaghetti con le vongole, linguine (linguine?)  ai funghi porcini e tagliolini cacio e pepe,  piu' una coppetta di crema al mascarpone con le fragole (stavolta non siamo riusciti a dire di no, comunque e' buona anche se per me e' "troppo" e non riesco a mangiarne piu' di un cucchiaio) che ci e' stata offerta. Il "problema" e' che le porzioni dei primi piatti sono talmente abbondanti che poi non ce la fai a mangiare altro.
Ma magari per qualcuno questo non e' affatto un problema!
Il conto e' stato di circa 15 euro a testa, senza vino perche' ieri eravamo tutti astemi.
Insomma, se vi chiedono dove andare a mangiare a Trasevere etc etc, io un consiglio ve l'ho dato!

TRATTORIA DA TEO
piazza Ponziani, 7a
tel. 06 5818355
cell. 338 7004615 - 327 2092590

venerdì 24 giugno 2011

Olio: a che punto e' la Dop



A quasi 20 anni dalla nascita delle DOP – istituite insieme alle IGP nel 1992 grazie al Regolamento CEE 2081/92 della Comunità Europea – Unaprol – ConsorzioOlivicolo Italiano e Federdop - Olio (la Federazione dei Consorzi di Tutela dell'olio extravergine di origine protetta che riunisce 23 consorzi sui 27 esistenti, dunque l’81% dell’olio Dop italiano) provano a fare il punto sulla situazione delle Denominazioni nel mondo dell’olio (in cui le prime Dop effettive risalgono al 1996) ponendosi delle domande scomode ma necessarie, del tipo: che cosa dà di più al produttore la certificazione? Come viene percepita dal consumatore? Quanto conta nella GDO, e nell’export?


E soprattutto, cosa è successo in questi 20 (15) anni?  

Poco, a prima vista. La risposta emersa in occasione del convegno La filiera olivicola degli oli Dop (Roma, 23 giugno 2011), con la presentazione dei dati dell’analisi, è desolante, se si tiene in considerazione il dato numerico riportato da diversi relatori - tra cui Massimo Gargano, presidente di Unaprol – che l’olio Dop in Italia rappresenta solo l’1% del mercato.
Poco, anche se stiamo comunque parlando dell’eccellenza della produzione italiana.
Proprio per questo, è più utile che mai fare un po’ di conti, e sono diversi i dati interessanti emersi dal monitoraggio effettuato su un campione di 205 aziende dei consorzi aderenti a Federdop(il più numeroso mai censito) presentato da Miriam Mastromauro, analista dell’Unaprol, e dalla relazione del prof. Giovanni Belletti, della Facoltà di Economia dell’Università di Firenze.

Il contesto
39 Dop e 1 Igp, dunque, contro i 27 riconoscimenti per l’olio greco e i 23 della Spagna, a cui pero’ non corrisponde un’elevata quantità di produzione certificata, che si limita a circa 10.000 tonnellate. Di queste, il 42% è olio certificato Igp Toscano, il 21% Dop Terra di Bari, il 6% Dop Umbria (con le diverse sottozone), il 4% Riviera Ligure e il restante 27% da dividere per tutte le altre 36 Dop italiane, che sono quindi piuttosto residuali.

L’identikit
Per la maggior parte, le aziende prese in esame dal monitoraggio sono ditte individuali (soprattutto nelle isole e nel Nord Ovest, dove invece al di fuori delle Dop prevale la forma societaria). Il conduttore-tipo di queste aziende (spesso coltivatore diretto, tranne nel Centro Italia dove prevale l’Imprenditore Agricolo Professionale) ha un’età media di 53 anni ed è maschio nel 73% dei casi, con l’eccezione dell’Italia insulare dove le donne conduttrici rappresentano il 58%. 
Il 45% dei conduttori possiede il titolo di scuola media superiore, ma il 29% è laureato, percentuale che sale al 35% nell’Italia centrale e al 34% al Sud.
Nel 42% dei casi sono aziende situate in pianura o collina, anche se al Nord prevalgono i terrazzamenti. Le proporzioni di quantitativi certificati per aree geografiche rispecchiano la ripartizione strutturale dell’olivicoltura generale, con Sud e Isole in pole position (ripeto, si tratta di quantità e non valore). 
Si tratta di aziende abbastanza strutturate, con strutture di stoccaggio (54%) e in maggior parte imbottigliatori (56%, ma saliamo all’80% nel centro Italia). Pochi pero’ hanno un punto vendita interno: il 47,4% (che sale all’89% in Centro Italia). Il formato più diffuso è la bottiglia da 0,50 lt, seguita da quella da 0,750. Curioso notare come le lattine, piuttosto diffuse al Sud, sono inesistenti al Nord.

Distribuzione e prezzi

Il 47% (ma saliamo al 72% al Sud) dell’olio sfuso è conferito a cooperative; il 19% viene venduto a grossisti e intermediari (mentre nel Centro Italia il 64% viene venduto all’industria). Il 30% dell’olio confezionato viene venduto direttamente al consumatore, mentre il 28% passa attraverso al Grande Distribuzione. Interessante sottolineare che il 17% viene venduto alla ristorazione, e il 12% a negozi tradizionali, specializzati e agriturismi, mentre il restante 13% viene ceduto all’ingrosso.
Ma il bollino della Dop serve realmente a garantire una maggiore remunerazione al produttore, olte che a garantire al consumatore la provenienza e qualità dell’extravergine? 
Questo dipende da Dop a Dop. Il prezzo medio dell’olio certificato si attesta sui 10 euro al chilo, ma disaggregando i dati emergono differenze notevoli: soprattutto al Nord, il bollino “regge” prezzi più alti, che arrivano a oltre 18 euro nel caso della Dop Brisighella, e si attesta intorno (o in alcuni casi supera) i 10 per le Dop Laghi Lombardi, Garda, Veneto, Riviera dei Fiori, Riviera Ligure. Ma l’altra faccia della medaglia sono gli oli Dop che spuntano meno di 4 euro/kg: Terra di Bari, Sardegna, Dauno e Bruzio.

Mercato, criticità e leve di marketing
Nonostante cio’, i produttori dimostrano di continuare ad avere fiducia nella scelta della certificazione: il 52% ha scelto di aumentare i volumi di prodotto da marchiare col bollino. Per il 64% delle aziende infatti la certificazione aumenta il valore del prodotto, il 25% lo fa per soddisfare una domanda sempre più esigente mentre l’11% lo fa per rispondere alle richieste della ditribuzione. Le criticità  della certificazione sono invece rappresentate principalmente dall’aumento dei costi di produzione e dal mancato aumento del volume di vendita
Eppure, ben il 99% del campione è deciso a proseguire nella scelta della certificazione. Molto diversa è pero’ la percezione del mercato degli oli Dop in base alla posizione territoriale: se al Nord Est il 100% delle aziende intervistate ritiene il mercato in espansione, la percentuale scende al 35% al Sud, dove il 56% vede invece una situazione di stallo. Minoritari i “pessimisti” che considerano il mercato in regressione, il 7% del totale.

L’extravergine sullo scaffale

Infine, i dati di vendita all’interno della GDO (dati Iri Infoscan 2010), che sinceramente mi hanno lasciato in alcuni casi un po’ spiazzata. Il 72% dell’olio venduto nella GDO è extravergine (l’1% è Dop o Igp come abbiamo visto, l’% è Bio e il 12% è 100% Italiano). L’olio Dop venduto nella GDO arriva principalmente dalla Lombardia (34%), poi da Emilia Romagna (13%), Piemonte e Val d’Aosta (12% qui mi sa che c’è un errore,  che Dop ci sarebbero poi in Piemonte e Val d’Aosta?), Veneto (11%) e Toscana (8%). I dati in valore rispecchiano quelli in volume.
Il prezzo più alto nella GDO lo spuntano gli oli Dop trentini (13 euro/lt) seguiti da quelli veneti, liguri e toscani (11 euro/lt). Interessante notare anche che alcuni marchi noti della GDO hanno inserito nella propria gamma dei prodotti Dop come parte di una strategia di differenziazione dell’insegna, mentre il 40% degli oli Dop venduti è confezionato come private label.
Conclusioni
Insomma, ha detto Belletti, la Dop è uno strumento flessibile che dà risultati diversi in base ai casi diversi, e non solo in base al valore economico. Non è una panacea per tutti i mali e non puo’ risolvere le debolezze del comparto olivicolo, ma puo’ essere un elemento importante solo in presenza di una intelligente e più ampia  politica di comparto.  
“Il bollino blu non risolve i problemi – ha ribadito Silvano Ferri, presidente di Federdop – ma è un punto di partenza per creare un sistema di valori – territorio, tradizione, cultura, cose che in Italia non mancano – fondamentale in questo momento di cambiamento di stili di consumo, in cui le donne diventano le principali responsabili di acquisto”. Pare infatti che noi femminucce siamo più orentate alla qualità mentre i maschietti sarebbero più sensibili all’origine del prodotto… non resta che sperare in un acquisto di coppia (e senza litigi).
Non è mancato l’appello agli chef “che invadono la tv dal mattino alla sera”.
Una parola buona per l’olio: basta poco, e checcevo’!?

giovedì 23 giugno 2011

Il buono di Vinoforum: qualche indirizzo da segnarsi, in Lazio


Luigi Cremona con Granfranco Pascucci e Cristina Bowerman, foto di Isabelle Grabau www.chicandspicy.com   
Non ero mai stata al Vinoforum, la manifestazione eno-gastro estiva romana per eccellenza, e devo dire che non mi ha proprio entusiasmato, a parte per qualche piacevole incontro e per la bella serata di martedi 15 giugno, organizzata da Luigi Cremona e Lorenza Vitali con le ragazze di Witaly.
Sulla scia del Premio Emergente – e del lavoro all year round alla ricerca e valorizzazione dei giovani talenti nelle cucine italiane – Luigi ha pensato di mettere a confronto “Emergenti & Emersi” della ristorazione laziale, chiamando 6 giovani cuochi a preparare le loro ricette inframezzate da pensieri e riflessioni con due chef che non hanno molto bisogno di presentazioni, cioè Cristina Bowerman del Glass Hostaria e Gianfranco Pascucci dell’omonimo ristorante a Fiumicino, famoso per i suoi crudi di mare.
Interessante ascoltare, oltre alle ricette (quelle le abbiamo soprattutto assaggiate!) due chef affermati che si dichiarano sempre interessati a conoscere i giovani e il loro lavoro, sempre pronti ad imparare qualcosa anche da chi ha meno esperienza di loro, e più preoccupati di non sedersi sugli allori e di riuscire a trovare sempre nuovi stimoli – e a superare le difficoltà quotidiane dei rispettivi ristoranti - che non di salire in classifiche e punteggi. Insomma, cuochi “in emergenza”, come si è definito Gianfranco Pascucci, più che emersi!
Accanto a me, poi, c’era Marzia Buzzanca: sommelier e titolare del rimpiantissimo Vinalia de L’Aquila e ora “super pizzaiola” e cuoca al suo Percorsi di Gusto - il primo locale a riaprire nel centro della città dopo il terremoto – mi ha fatto tantissimo piacere conoscerla di persona.
E veniamo ai giovani chef. Qualcuno lo conoscevo già, molti no e va dato tutto il merito a Luigi Cremona di scovarli e farli conoscere, il che è un bel lavoro e anche faticoso, con tutte le “porzionicremona” (Luigi è famoso per mangiare pochissimo di tutto, e sarebbe un esempio da seguire se io non fossi golosa...) che volete! Alcuni hanno presentato due piatti, alcuni uno solo ma io ne cito uno per chef, quelli che mi sono piaciuti di più. 
E quindi ecco i SEI PIATTI PER SEI GIOVANI CUOCHI:
foto Isabelle Grabau www.chicandspicy.com

1) Il Cannolo croccante ripieno di pappa al pomodoro con alice marinata, battuta di mozzarella di bufala e salsa al basilico di Marco Ciaroni, 27 anni, da due all’Osteriadell’Orologio di Fiumicino. Sorridente, energetico e entusiasta, Marco ha proposto questo divertente finger food estivo e mediterraneo che unisce tradizione e originalità, con la pappa al pomodoro “rivista” (con i pomodori datterini), un battuto di mozzarella con scorzette di limone a dare freschezza, una salsa al basilico e un’ottima alice appena marinata che dava la cifra marinara al piatto. Il tutto condito con l’extravergine della Dop Sabina.

foto Isabelle Grabau www.chicandspicy.com
2) I Ravioli al rosso d'uovo liquido con tartare e infuso di manzo, asparagina e nuvola di formaggella nostrana di Davide del Duca, 29 anni, dell’Osteria Fernanda di Roma, allievo di Angelo Troiani ed ex chef di Vesta a Tivoli. Il piatto più buono della serata (creato per l’occasione e subito messo in carta) che mischia diversi classici della cucina (la tartare con l’uovo, l’uovo con gli asparagi) creando un “boccone” esplosivo: rompi la pasta giustamente spessa del raviolo e ti ritrovi il tuorlo (con aggiunta di panna e latte, ma impercettibile) che inonda l’ottima carne cruda e gli asparagi con il trait d’union delicato del formaggio. Fantastico!
foto di Isabelle Grabau www.chichandspicy.com
 
3) I Ravioli di cinghiale con spuma di carote e lime del timido e riservato Daniele Biscetti, cuoco dell’Altro Gusto di Viterbo, un posto da andare a visitare! Sinceramente, l’idea dei ravioli di cinghiale in piena calura estiva romana mi era sembata un po’ azzardata, e anche il binomio carote e lime non mi convinceva del tutto. Invece la spuma (più un salsa, direi) si è rivelata il punto di forza del piatto: fresca e delicata ma con una sua “personalità”, dava ai ravioli (un po’ troppo spessi e al dente, ma considerando che gli chef si dividevano una cucina “da campo” hanno praticamente fatto miracoli!) un sapore del tutto nuovo e riuscitissimo.
foto www.porzionicremona.it

4) Il Kabab di abbacchio romano IGP e broccoletti laziali dell’israeliana Michal Levy del
Percento di Roma a due passi da Campo dei Fiori (uno dei pochi locali che avevo visitato). Concentratissima e molto seria – si vede che è una “tosta” come devono esserlo le donne in cucina, Bowerman docet – non ha perso il sorriso nemmeno per un istante, ed era bellissimo vederla preparare le polpette di agnello con una gestualità che deve ormai far parte del due DNA. Bello anche il piatto, un divertente e saporito esempio di contaminazione gastronomica – anche questa, parte della tradizione israeliana – che rivisita il grande classico della cucina mediorientale in chiave laziale: buonissime le polpette giustamente speziate e arricchite con pinoli, servite con un ottimo pane alle mandorle (ricordavo di averlo già assaggiato al ristorante, dove Michal prepara tutti i pani in casa) e con affianco un cartoccetto con il broccolo romano, ancora bello croccante e piccantino. Mancava, sul mio piatto, la misteriosa salsa rossa ma semitrasparente che un collaboratore di Michal ha definito qualcosa come “ketchup israeliano”….chissa cosa sarà stato??
foto www.porzionicremona.it

5) La seppia. “Titolo” minimalista per il piatto di Alessandro Cannata – il bravo e superconcentrato cuoco del Moma di Roma (ma a breve traslocherà in altra sede e tocchera andarci al più presto!), nemmeno Luigi è riuscito a distoglierlo dalla preparazione del piatto che io ribattezzerei –ok forse è un po’ troppo macabro – Anatomia di una seppia. Lo chef ha pulito con millimetrica precisionedavato a noi una seppia separando e utilizzandone al meglio ogni singola parte della: la polpa (?) l’ha trasformata in tagliatelle, condite con una salsa fatta col nero di seppia e scarti del fegato. Sopra, sparse a mo’ di Parmigiano le uova della seppia – freschissima – a crudo, e del finocchietto fresco che dava sapore e freschezza al piatto. Infine, sistemata al centro la ghiandola ovoidale (ebbene si…) della seppia che era stata appena scottata e poi panata, per avere una consistenza morbida dentro (sembrava quasi una capasanta… molto cotta) e croccante fuori. Buonissima!
foto www.porzionicremona.it

6) Cubo di (lingua di) manzo, salsa di zucca allo zenzero, e un ricordo di tartufo di Marco Bottega. Chiusura col botto per lo chef dell’Aminta di Genazzano, che a differenza di molti dei suoi colleghi è stato svezzato dalle telecamere de La Prova Del Cuoco e non ha remore nel parlare e cucinare in pubblico (ma sospetto che non ne avesse nemmeno prima) ed ha avuto maestri non da poco, tipo Bottura, Tassa e Caputo. Marco ha scelto coraggiosamente di puntare sulla lingua, un taglio che non a tutti piace. In questo caso si tratta di una lingua di una bestia di razza Piemontese, e Marco cede la parola allallevatore – Gaetano – per spiegarne le caratteristiche: lui (credo che si fosse fermato prima in qualche stand vinicolo…) ne esalta soprattutto le “chiappe” (termine tecnico). Vabbe’, tra chiappe e lingua si rischia di finire nel food porn, quindi torniamo al piatto: un cubo di lingua cotto sottovuoto a bassa temperatura con erbe aromatiche, per non perdere liquidi – sapido, morbido ma ancora masticabile nonostante la cottura lenta, ho imparato ad amare la lingua e mi piace tantissimo  la sua consistenza! -poi scottato su tutti i lati in uan padella rovente, per avere una specie di “crosticina” croccante, quasi bruciata. Una specie di stuzzichino servito con una salsa di zucca alla mantovana (con mostarda di mele campanine e un’aggiunta di zenzero) e un po’ di pasta di tartufo nero estivo locale (fatta in casa, of course), un po’ estremo ma buonissimo!

E poi, giusto perché avevamo mangiato poco, Marco ha voluto preparare anche “du giri de cacio e pepe” nella sua versione che io ho apprezzato molto: cottura perfettamente al dente, mantecatura cremosamente spinta e un pecorino di media stagionatura, meno salato del Pecorino Romano stagionato usato solitamente.

martedì 21 giugno 2011

News dal mondo: Ferran Adria' a Stoccolma per parlare di cibo e arte

 


Ferran Adrià, lo chef piu' famoso del pianeta (nonche' l'uomo che ha cambiato il modo in cui mangiamo) chiudera' a beve il suo ristorante El Bulli (ultima cena prevista per il 30 giugno a quanto pare, ovviamente inutile pensare di prenotare adesso!) e nel mentre ha aperto un nuovo "tapas bar" a Barcellona con il fratello Albert, il Tickets, che ha preso il posto del gettonatissimo Inopia.
Ok, fin qui niente di nuovo. Non e una novita' nemmeno che lo chef spagnolo parli di cibo e arte, tant'e' che era stato invitato - primo cuoco della storia - pure a partecipare a Documenta 12, la rassegna di arte contemporanea di Kassel, nel 2007.


Ma visto che Adria' fa sempre notizia, e che la Svezia e' sempre di piu' la location gastronomica piu' hot d'Europa, io riporto lo stesso:

il 27 giugno lo chef sara'al Moderna Museet di Stoccolma per parlare della sua nuova elBulli Foundation, "capofila" per l'innovazione, il cibo e l'arte, che aprira' i battenti solo nel 2014 come organizzazione dedicata interamente all'innovazione.

Adria', che e' stato definito il Mozart o il Picasso dei notri giorni, e' stato capace di garantire al cibo un nuovo status culturale, dando alla Spagna  una nuova identia' come destinazione gastronomica, ma anche creando un modello unico di innovazione e creativita'.
A Stoccolma, presentera' i suoi progetti per la Fondazione. Il suo discorso sara' seguito da una conversazione tra  Ferran Adrià e Vincente Todoli, in passato direttore della Tate Modern, insieme agli artisti contemporanei Carsten Höller, Rirkrit Tiravanija, Elaine Tin Nyo e Tobias Rehbergere allo scrittore Bill Buford. La conversazione sara' moderata dal direttore del Moderna Museet,  Daniel Birnbaum, e dal curatore Jan Åman.

Subito dopo, Vicente Todoli presentera' un'anteprima del film "Documenting Documenta", in cui compaiono Ferran Adria' e l'artista Richard Hamilton. Il film e' stato scritto e diretto da David Pujol con la collaborazione di Vicente Todoli, e sara' presentato solo nel gennaio 2012, ma chi partecipera' all'evento di Stoccolma potra' avere un'anteprima del the work-in-progress.

L'evento segnera' l'avvio di un'iniziativa svedese dedicata all'innovazione attraverso il cibo - Stiftelsen Kokkonst - con l'obiettivo di creare in Svezia una piattaforma a lungo termine per un ragionamento internazionale su innovazione, cibo e arte.
 
Sounds interesting...

giovedì 16 giugno 2011

Gli uomini - e le donne - preferiscono la pasta

Secondo una ricerca internazionale condotta da Oxfam - Oxford Commitee for Famine Relief, confederazione di 14 organizzazioni non governative con sedi e partner in più di 100 paesi per trovare la soluzione definitiva alla povertà e all'ingiustizia - la pasta e' in assoluto il cibo preferito a livello mondiale. Lo riporta una news della BBC, a sua volta ripresa da una delle mie riviste preferite e fonte infinita di conoscenza, Wanderlust.

Insomma, spaghetti e maccheroni - comprensibilmente molto amati in Europa - battono anche carne, riso e pizza, che in teoria dovrebbero essere piu' diffusi e appetibile soprattutto in paesi abbondantemente abitati come quelli orientali, e negli USA. I dati della International Pasta Organisation mostrano che la passione per la pasta non conosce confini: per esempio, in Messico e Bolivia se ne consuma piu' che nel Regno Unito.

Ovviamente - e ci mancherebbe! - il primato mondiale di consumo pro-capite di pasta pero' spetta all'Italia, seguita - pensate un po' - dal Venezuela, dove ha ormai superato quello della specialita' locale le empanadas.

Il segreto del suo successo? La semplicita', probabilmente, e qualche altro assets come versatilita' e  convenienza sia nel comprarla che nel prepararla, spiega Jim Winship, rappresentante della Pizza, Pasta and Italian Food Association in Gran Bretagna.
 
Si ma come la mettiamo con la ciccia e le crociate "low carb"? E non solo. 
Per qualcuno, soprattutto in era di gastrofighettismo, la pasta e' troppo easy. Il critico gastronomico e personaggio TV inglese Giles Coren, con un tocco di snobismo, bolla gli spaghetti cone cibo low class: "Chiedete a un giocatore di football cosa e' in grado di cucinare e la risposta sara' sempre "spaghetti". Quindi, conclude Coren, la pasta "e' quello che trovi in dispensa quando manca tutto il resto. E' cibo per gente povera e decisamente poco sofisticato".

Mmm... a parte che il parallelo tra calciatori e poverta' non mi convince - vale anche per Beckham? - Coren dovrebbe forse assaggiare qualche "semplice" piatto di pasta come questo, questo e questo :)

Critical Fish: l'aperitivo nudo, crudo e etico

Se ti aprono un posto nuovo (o meglio non proprio nuovo, ma andiamo con ordine) praticamente sotto casa, tocca andarci.
In realta' la pescheria di via Ancona c'era da anni, ma da qualche settimana ha cambiato nome e "formula". Io me ne sono accorta la settimana scorsa, quando ho visto il gazebo con i tavolini montato di fronte. Il primo pensiero e' stato "maledizione, la gia' remota possibilita' di trovare parcheggio vicino casa diminuisce ancora"; il secondo "Ma che ci fa una pescheria con i tavoli??".
La risposta e' Critical Fish, o meglio Ethical Fish. Che, al di la', dei nomi e della grafica ammiccanti, sono due idee carine.

Prima di tutto, consumo critico e consapevole: Critical Fish, creato della cooperativa sociale BeMar, promuove la filiera corta anche per il pesce; dunque, dal pescatore (in particolare, le barche che pescano nei mari del Lazio e del Sud Italia, tra Cilento e Calabria) al consumatore, tramite i GAS (gruppi di acquisto solidali), il sito web, abbonamenti settimanali per famiglie e single e la vendita al dettaglio.  Il pesce dunque, completamente tracciabile, e' solo di provenienza nazionale, di stagione e catturato con sistemi ecosostenibili. Niente pesci "pregiati" di allevamento imbottiti con antibiotici e mangimi, niente pesci "a rischio" come il tonno rosso.

Poi, educazione alimentare: Critical Fish e' anche la prima pescheria didattica di Roma, e con la collaborazione di una biologa organizza percorsi ludico-didattici per le scuole, ospitando piccoli gruppi di ragazzi per spiegargli tutto sul pesce e le sue proprieta' nutritive.


E poi, c'e' la parte foodie e pure low cost, ovvero Ethical Fish: aperitivo ethical e minimal, tutti i giorni dalle 19,30 sotto il gazebo di via Ancona: tovagliette di carta colorate e un vassoietto di plastica con un bell'assortimento di carpacci di pesce, alici marinate, gamberi crudi e frutti di mare (per noi, ostriche e cannolicchi), rigorosamente crudo e garantito di giornata, da accompagnare con un bicchiere (di plastica) di vino bianco non precisato (l'esperto ci dice probabilmente Frascati) di cui, visto che i ragazzi sono gentili, puo' scappare anche un refill.
Il tutto a 10 euro.

Insomma, non aspettatevi una cosa fighetta, anzi. E' tutto molto easy e molto, appunto, minimal, anche perche' di aperitivo si tratta. E visto che a noi l'altra sera i crudi di pesce ci hanno aperto lo stomaco, dopo siamo finiti a casa mia per un'amatriciana gour/trash: Spaghetti Cavalier Cocco, salsa di pomodorini ciliegini e datterini Alicos (ottima ma un po' troppo dolce per l'uso in questione), pancetta Citterio e un'abbondante spolverata di Grana Padano in busta del supermercato, accompagnata dall'ottimo Latour a Civitella 2007 di Sergio Mottura.

CRITICAL FISH
via Ancona, 34
tel. 06 44291140
www.criticalfish.it

domenica 12 giugno 2011

Pausa pranzo / la pizza di Bonci

Erano anni che non mettevo piede al Pizzarium, piu' che altro per questioni logistiche e da molto prima che Gabriele Bonci vietasse l'ingresso ai giornalisti del Gambero. (devo dire, non senza qualche ragione, anche se un tantino estremista).
Ma ieri sono stata depositata da chi mi ha dato gentilmente un passaggio proprio davanti alla stazione della metro Cipro, e guarda caso proprio all'ora di pranzo. Mi sembrava troppo per non approfittare della situazione. Cosi' ho convinto - devo dire senza grande difficolta'- la mia compagna di passaggio, e ci siamo messe in fila.

L'insegna gialla e blu che fa tanto normalepizzetterialtaglio e' sempre li, ma il resto e' cambiato. Non solo nella disposizione del banco dentro al minuscolo locale (le dimensioni pure, sono sempre quelle) ma anche nel...mood del posto, diciamo cosi'. Scaffali in legno, lavagnette, spillette con il nuovo logo (!) bonci bo, un piccolo esercito di ragazzetti in gamba al banco e al forno: insomma, il nuovo Pizzarium e' un posto molto foodie, non c'e' che dire!
Anche nella clientela: gente di tutte le eta', tanti stranieri, gastromaniaci che parlano di trestelle mentre mangiano un pezzo di pizza all'impiedi sul marciapiede... Ma la trasversalita' e' sempre stata una caratteristica della pizza bonciana,  nonostante i prezzi. Della serie, se una cosa e' buona....

Perche' si, la boncipizza e' buonissima; stratosferica in ogni dettaglio. Solo che, diciamocelo, non e' una cosa che potresti (e forse anche vorresti) mangiare ogni giorno. Piu' che altro e' quello che gli inglesi definirebbero un "treat": un piccolo regalo da farsi ogni tanto, per questioni di fegato e portafogli. Se mangiassi ogni giorno cosi' a pranzo, sarei da ricovero o quanto meno la sera non vorrei altro che riso in bianco, visto il peso specifico piuttosto impegnativo dei condimenti.
Pero' diciamolo una volta per tutte: la pizza di Bonci e' cara solo in maniera relativa.

Nel mio caso, sullo scontrino risultano 23,36 euro, per: 1 Algida di Baccala' con cuore di vino e fragole e granella di nocciole (4 euro, e ho finalmente capito il perche' dell' "Algida" visto che e' fatto come un gelato a stecco...), 1 striscia di pizza con burrata, rucola e uova di trota (9,20 euro per 230 grammi) e 1 striscia di pizza con coniglio e battuto di fave e pecorino (10,16 euro per 254 grammi).

Considerazioni:
1) abbiamo preso le pizze piu' care in assoluto, 40 euro al chilo.
2) Non stiamo parlando esattamente di "un po' di acqua e farina con sopra del pomodoro e finta mozzarella" come succede per quasi tutte le pizze al taglio (e pure per quelle tonde), ma di vere e proprie preparazioni di cucina con materie prime super-selezionate.
3) con poco piu' di 20 euro ci abbiamo pranzato in due, saziandoci pienamente, quindi nel computo "Q/P pausa-pranzo" Bonci batte pure Tricolore, i cui buonissimi panini gourmet hanno un prezzo medio di 12 euro.

PIZZARIUM

via della Meloria, 43
Roma
tel. 06 39745416


venerdì 10 giugno 2011

Soste Golose / Berardino is back

Oste. Cuoco. Allevatore. Coltivatore. Albergatore. Norcino creativo (e' una sua creazione la stringata, favoloso e monumentale salume che racchiude pancetta, lombo e lardo dei maiali di razza Nera Casertana). E ora di nuovo oste.

Sono tante le anime di Berardino Lombardo, ma questa e' probabilmente quella che gli si addice di piu'. Ecco perche' ora ha deciso di tornare alla ristorazione, dopo essersi dedicato negli ultimi anni soprattutto a fare, appunto, l'allevatore e norcino.

Pero' il nome che ha scelto per la sua nuova avventura - Il Contadino - la dice lunga su come lui intenda la cucina. Rustica, semplice, con i piatti poveri della cucina popolare della zona, senza inutili tentativi di arruffianamento o rivistitazione ma preparati con i migliori ingredienti: tutti i prodotti vengono dal suo orto, dal frutteto o dall'allevamento di Terre di Conca, la bella tenuta di Piantoli, dall'altro lato dell'autostrada, dove comunque lo trovate tutte le domeniche a organizzare pranzi e incontri.

Il nuovo indirizzo - fresco d'apertura, 10 giorni tondi oggi  - e' decisamente piu' comodo e facile da raggiungere, visto che sta a due passi dall'uscita autostradale di Caianello. Noi tornavamo da Vico, e "casualmente" abbiamo fatto in modo da trovarci da queste parti ad ora di pranzo, sulla strada di ritorno verso Roma.
In un tratto di strada ad alta intensita' di traffico dove abbondano le trattorie da camionisti (nulla da dire, eh), lui si e' andato quasi a nascondere in una strada di campagna (indicazioni zero, non e' posto da avventori di passaggio in cerca di menu turistici; ma c'e' un punto di riferimento utile per trovarlo: cercate il gommista), per aprire un agriturismo- steak house. Un casale di campagna, rustico sia dentro che fuori, con la griglia e le panche per mangiare all'aperto e gli alberi di ciliegio intorno.

Venendo da giornate gastronomicamente impegnative, ci siamo limitate ad assaggiare gli antipasti.
Si fa per dire: non poteva mancare un assaggio dei fantastici salumi della casa e di frittata; poi la panzanella, ma rivista come un omaggio alla cucina del Regno delle Due Sicilie (concetto a cu sta lavorando Berardino in vista di un gemellaggio gastronomico tra Caserta e Trapani), unendo i pomodori della Terra di Lavoro ai capperi siciliani. La zuppa di fagioli e scarole, un classico della cucina rustica campana, ma davvero non ne avevamo mai mangiata una cosi' buona. I fagiolini avvolti nel guanciale, prontamente replicati nella mia cucina. L'uovo a susciello, che - da quando l'avevo assaggiato a Terre di Conca qualche anno fa - e' diventato uno dei miei sogni gastronomici ricorrenti. Ma stavolta a lasciarmi senza parole sono stati i pomodorini arrecanati, uno dei piatti piu' semplici e umili della nostra tradizione, (pomodori spaccati conditi con un mix di mollica di pane, capperi, acciughe, aglio e tanto, tanto origano, da cui il nome, e poi infornati) ma fatti come dice Berardino: non per nulla erano un grande classico della Caveja, gloriosa trattoria di Pietravairano dove per la prima volta lo avevo "incontrato" tantissimi anni fa.

Dopo, in teoria, ci sarebbero stati i primi - tra cui la pasta alla Contadina, una sorta di matriciana
casertan-style - e le carni alla griglia: devo dire che un pensierino alla pancetta di maiale Nero Casertano ce l'avrei fatto, ma poi abbiamo deciso di passare direttamente al dolce. Che secondo me merita qualche parola in piu'. Ci e' arrivato in tavola un piatto ciascuna, con tre assaggi: una sorta di crostata di crema con una base friabile e una crema saporita ma consistente, uno strato sottilissimo di marmellata e sopra una specie di crumble, buonissima; un biscotto arrotolato come se fosse uno strudel, croccante e saporito, con frutta secca nell'impasto; e un sable' etereo, friabilissimo, stratosfericamente buono con sopra della marmellata -  o meglio una purea fresca, come se fosse frutta appena raccolta e frullata - di mela.
Ecco, questo e' quello che dovrebbero essere i dolci nelle trattorie, altro che panne cotte e finti tiramisu!
                                                         foto Isabella Grabau www.chicandspicy.com


"Mi mancava la ristorazione - racconta Berardino mentre ci versa un bicchierino di Marsala a fine pasto, ed e' difficile non distrarsi a guardare i suoi occhi color ghiaccio che  spiccano anche nella grande foto che campeggia all'ingresso della stradina che porta al casale - cosi' quando mi e' capitato questo posto...". L'idea e' quella di formare una squadra autonoma che segua le sue indicazioni in cucina, ma io mi aspetterei di trovarlo spesso qui. E di tornarci presto!

IL CONTADINO
via Starze
Caianello (CE)
tel. 0823 922043

mercoledì 8 giugno 2011

Pausa pranzo / Tricolore vs Open Colonna

Un pranzo veloce e economicamente abbastanza indolore dalle parti di via Nazionale, a Roma?
Le soluzioni sono diverse. Oggi ho optato per l'Open Colonna.

Sulla location nulla da dire: sono da sempre una sostenitrice dei ristoranti - belli e buoni - nei musei, e in questo caso il Palazzo delle Esposizioni non sfigura rispetto a Guggenheim, Tate & Co. Lo spazio all'ultimo piano e' bellissimo, luminoso, giustamente di design. Non manca lo chef di richiamo, in questo caso Antonello Colonna che da Labico s'e' portato anche la famosa porta rossa.
L'offerta per il pranzo - a scelta tra buffet e un menu di tre portate da scegliere tra due primi, due secondi e dolci al buffet, in entrambi i casi a 15,50 euro o giu' di li - e' azzeccata, perfettamente in linea con quella che deve essere una pausa pranzo veloce ma non scadente.
Certo, il menu di oggi non mi ha fatto impazzire: penne con polpo e radicchio, bocconcini di maiale con salsa ai peperoni e, per me, macedonia.



















Tutto corretto ma niente di eccezionale. Con acqua e  caffe', in due abbiamo pagato 36,50 euro.












Ora, un paio di settimane fa a pranzo in zona - via Urbana - ero stata da Tricolore. Il posto e' altrettanto bello ma decisamente piu' scomodo, devi lottare per uno sgabello e mangiare su quelle che in teoria sarebbero postazioni da cucina per i corsi della sera. Si mangia con le mani dai cartoccetti tipo take away, da bere birra, gazzosa e chinotto (Lurisia, of course).
Il menu prevede panini, declinati in versione gourmet: tanto per capirci, hot dog e hamburger di Paolo Parisi, il culatello e' quello di Spigaroli, la maionese e' fatta i casa e pure tutti i pani, ognuno diverso in base al panino scelto.
Io avevo scelto il PANE DI PATATE E POLPO (farina di grano tenero biologica Antico Molino Rosso, lievito naturale, sale marino integrale di Mothia, polpo del Mediterraneo) a 8 euro.
Il cadavere del polpo steso lungo il panino era un po' inquietante, ma il risultato era squisito. Con una gazzosa (la piu' buona d'Italia) ho pagato 12 euro. 

Insomma, il confronto e' piu' o meno pari: dipende da cosa mettete sulla lavagna tra i pro e cosa tra i contro. Decidete voi di che pausa pranzo siete!

Una festa, a Vico


Lunedi' mattina, con due amiche, mi sono messa in macchina e sono partita da Roma
Destinazione: Vico Equense.
Eravamo dirette li' per partecipare ad una festa organizzata da un amico
La festeggiata? La cucina italiana.

Sto parlando, naturalmente, della famosa Festa a Vico di Gennaro Esposito, che e' ormai diventata un appuntamento immancabile della gastronomia italiana.
Ormai sulla festa si e' detto gia' molto. Non e' un congresso, non e' un cooking show, non e' una degustazione. E' una vera e propria festa dove si mangia, si beve, si chiacchiera, ci si diverte... e si balla anche! Purtroppo ho perso la serata inaugurale di domenica e pure quella conclusiva di martedi', con tutti i piu' grandi cuochi italiani, ma mi sono goduta un bel lunedi' sera al Bikini con gli chef emergenti il cui ricavato e' andato a Marevivo.www.marevivo.it/
E soprattutto la giornata di sole in Penisola Sorrentina.

Arriviamo alle 15, affamate di cibo e di sole. Chiediamo consiglio lungo la strada per un posto in riva al mare dove mangiare qualcosa di semplice. La risposta e': andate a Seiano, al Saracino.
Si, ok, abbiamo presente....

Arriviamo a Seiano e, ringraziando la bella abitudine sudista di pranzare fino a tardi, ci dirigiamo ad un tavolo del ristorante esattamente sopra al mare. Ma prima di sedermi mi rendo conto che in quel giorno la clientela e' un po' speciale e saluto, nell'ordine: il mio "maestro" pasticcere Maurizio Santin, lo chef Accursio Craparo dalla Sicilia, Cristina Bowermann (pure lei appena arrivata da Roma) e Fabio Spada. Piu' in la' scorgo una tavolata con Valeria Piccini a capotavola e, sotto a un ombrellone, Pau, il cantante dei Negrita. Li rivedremo tutti la sera al Bikini, incluso quest'ultimo (per mettere la musica insieme a Roy Paci, non per cucinare!).

Mentre sono al telefono con mio cugino, un ragazzo si avvicina la tavolo....la mia amica lo scambia per il cameriere e gli chiede se e' possibile avere una pizza. Lui non si scompone, anche se la richiesta deve essergli sembrata un po' insolita: in realta' e' Marco Bottega, il giovane chef dell'Aminta di Genzano. Ma per lui, abituato alla Prova del Cuoco, non sarebbe stato poi mica un problema!

Rinunciamo alla pizza e ordiniamo a un vero cameriere: frittura di calamaretti, treccia di fiordilatte, antipasti caldi (frittura mista, polpo affogato, seppie con patate), gamberoni alla brace e spaghetti con le vongole. Con mio disappunto, questi ultimi sono con i pomodorini. Ora, per me gli spaghetti con le vongole sono rigorosamente in bianco. Possibile che proprio Gennaro (insomma, siamo sempre in famiglia) mi deluda? Ma basta un assaggio per cambiare idea: buonissimi!

Fatta pace col mondo, ci stendiamo un po' al sole sulla spiaggia di Seiano ancora tappezzata di striscioni della Festa della sera prima, e poi - dopo aver salutato un Moreno Cedroni pure lui in tenuta da spiaggia - ci dirigiamo a Sorrento. Destinazione: Davide, per un gelato e una sosta alla toilette.... Ne usciamo in tenuta da sera, pronte per il Bikini!

Lascio ad altri la cronaca della serata. Ecco, in ordine sparso, un po' di facce che mi ha fatto piacere vedere (e piatti che mi ha fatto piacere assaggiare):

  • Il fantastico suppli' con rigaglie di pollo di Arcangelo Dandini
  • I ravioli cacio e pepe con gambero al limone di Gigi Nastri (alias Mr. Settembrini)
  • Giuseppe Iannotti, neopapa' di una bimba e quasi pronto ad aprire un'altra sua creatura, il nuovo Kresios a Telese
  • Gli Sposito Bros che martedi sera avrebbero presentato un piatto mooolto interessante: pasta fagioli e cozze (queste ultime, in emulsione). Tocca andare a Brusciano a vedere di che si tratta.
  • La pizza fritta di Enzo Coccia
  • Rosanna Marziale  in un pogo scatenato
  • Marco Stabile e la sua ribollita di mare (alghe al posto del cavolo nero, che d'estate non c'e'!)
  • Peppe Daddio e le sue seppie, asparagi e cocco
  • Daniele Usai con un crudo di scampi affumicato in casa con zuppetta di melone e salatini al sale di Motzia
  • Un po' di colleghi (ed ex colleghi) vari
  • Mauro Uliassi sempre molto figo con la sua sciarpetta al collo (e anche senza)
  • Mi sono persa, invece, tra le altre cose il pane, olio e sale di Marco Bottega ma rimediero' presto con una gita a Genzano (anche perche' ci ha promesso una pizza...)
Insomma,  una gran bella serata. Ce ne andiamo all'una e mezza disidratati (per una volta tanto c'era piu' da mangiare che da bere) ma ancora non abbastanza stanchi e sazi da rinunciare da un saltimbocca all'Oasi, immortalato da un ultimo scatto della fotografa ufficiale della nostra trasferta camoana recitando il mantra della serata: VIVA GENNARO!!

giovedì 2 giugno 2011

Riccioli, da Oyster Bar a Trattoria-Salumeria

Ieri sera, mi trovavo a Piazza di Spagna alle nove di sera con tanta fame e un appuntamento per cena senza ancora sapere dove andare. Non c'e' un granche' da quelle parti, ad eccezione del Palatium dove non vado da tempo, ma alla fine la nostra scelta e' ricaduta su una semi-novita': il Riccioli Cafe', da pochissimo riaperto al pubblico con una nuova formula (che il sito ancora non riporta): da oyster bar piuttosto fighetto tutto dedicato al pesce a... trattoria-salumeria piuttosto fighetta ma anche con aspirazioni low cost, dove accanto alla proposta ittica (crudi, ostriche as usual, e piatti cucinati) si e' aggiunto un bel banco di salumi e formaggi che vengono proposti sia in vendita che in degustazione, e qualche piatto di carne.

Praticamente, funziona cosi': dalle 18 alle 20,30 c'e' l'aperitivo: buffet con vini, Champagne e cocktail a 15 euro, con vini, spumanti e birre artigianali a 10 euro, che mi pare piu' che onesto.
La salumeria e' aperta dalle 10,30 alle 23 - per languori improvvisi - con "vendita di cibo, vini liquori e delicatezze"tra cui come dicevo, un fornitissimo banco di formaggi italiani e stranieri, e c'e' anche la possibilita' di assaggiare sul posto i prodotti in vendita con il Menu Salumeria dalle 15 alle 18, in veranda.

Poi c'e' la la Trattoria (se vogliamo chiamarla cosi') che funziona a pranzo e a cena;in carta una decina di antipasti crudi e cotti principalmente di mare (ma c'e' pure la tartare di manzetta con uovo di quaglia, per esempio), i taglieri di salumi e formaggi, o i piatti singoli del prodotto preferito, 6 primi piatti, mi sembra altrettanti secondi di mare e di terra e poi i dessert. I prezzi variano parecchio, dai 10 euro per il pane burro e alici ai 35 per la Catalana del Riccioli, che pero' e' davvero buonissima! Meno convincenti gli aliciotti con indivia, olive e pinoli.

Conclusioni: da provare per l'aperitivo, interessante l'offerta di salumi e formaggi anche se cozza un po' con l'idea classica di Riccioli=pesce (gia' sfatata con i diversi indirizzi di  Rosticceri) direi che resta sempre un buon "posto da scortico" (come mi informava il mio accompagnatore di ieri, per i non romani: da acchiappo) potendosi permettere anche di scegliere bene dalla carta dei vini e Champagne.

mercoledì 1 giugno 2011

say cheese!!

Ieri sera ho sostenuto l'esame finale del corso di primo livello per aspiranti assaggiatori di formaggio organizzato dall'Onaf. Adoro il formaggio (praticamente tutti, ma soprattutto i pecorini stagionati mentre non impazzisco per i molli francesi, ecco...)
Il corso ha qualche pecca soprattuto logistica, ma e' stata una bella occasione per saperne di piu' su diversi aspetti del formaggio, inclusa la temibilissima microbiologia casearia... e anche per conoscere meglio persone interessanti come il bravissimo pastore errante (e gran casaro) Loreto Pacitti che tra le altre cose fa il buonissimo Conciato di San Vittore (e che, nonostante di formaggio ne sappia ovviamente gia' parecchio, non era li' per insegnare ma per imparare.. chapeau).
E dopo l'esame di ieri, non dimentichero' piu' qual e' la differenza principale tra Grana e Parmigiano (nel primo caso il disciplinare permette anche l'alimentazione con insilati, nel secondo no....), la percentuale di materia grassa nei formaggi magri (20%) e la definizione esatta di formaggio: "Il formaggio e' il prodotto della coagulazione presamica, acida o acido-presamica ottenuto da latte intero, ovvero parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema di latte, anche facendo uso di fermenti e di sale da cucina". 
All'esame e' seguita una cena abbastanza hard, ma per fortuna meno di quel che ci era stato fatto temere (abbiamo scampato gli gnocchi al Castelmagno in piena calura pre-estiva!), naturalmente quasi tutta a base di formaggio come al corso ci e' stato caldamente raccomandato di NON fare! 
Quello nella foto e' l'esempio di una cacio e pepe diciamo.... non proprio eccelsa (ma la cottura della pasta era buona, va'...).
Intanto, messo in tasca (per ora solo virtualmente) il diploma, sogno di riassaggiare il mio formaggio preferito: lo Jamar di Dario  Zidaric.