martedì 28 giugno 2011

Una pizza a Genzano? No, un pranzo a Genazzano

Ora, questo post poteva anche chiamarsi “il post degli equivoci”. Tutto era iniziato a Vico Equense, quando avevamo scambiato lo chef Marco Bottega per un cameriere e gli avevamo chiesto una pizza. Lui per tutta risposta ci ha invitate a passare una bella giornata al suo Aminta Resort, per un bagno in piscina e “uno spuntino”. 
Invito accettato volentieri, ma visto che io sono stordita, dopo essere arrivata a Ciampino in treno – con l’aggravante di un caffè – ho detto alla mia amica (e per l’occasione autista ) che dovevamo andare a Genzano. Arrivate nell’ameno paesino, controllo l’indirizzo e mi rendo conto che in realtà volevo dire Genazzano. Non esattamente agli antipodi, ma insomma ci saremmo potute risparmiare un bel giro panoramico per i Castelli Romani! 

Arriviamo all’Aminta praticamente a ora di pranzo, quindi niente bagno in piscina e… altro che spuntino! Marco ci ha fatto assaggiare tutto il suo menu, quello che ha chiamato “quello che mangerei io” (a 75 euro per 9 portate compresi acqua, pane e coperto, ma ce n’è anche uno più easy a 27 euro, che credo sia il degustazione più economico d’Italia in un ristorante del genere)… e come fai a dirgli di no? Con grande sacrificio, dopo un calice di bollicine – lo chef ha la passione per gli Champagne, con una carta impressionante di etichette - ci siamo sedute a tavola e abbiamo mangiato tutto quello che ci ha proposto, a cominciare dai pani fatti in casa con l’extravergine ligure Terre Bormane, servito nel bel taste-à-huile.

Poi, per iniziare sul serio, un buonissimo supplì, che pare stia diventando in effetti il must gastronomico della stagione, soprattutto nel Lazio. 






Segue il Cubo di manzo, salsa di zucca allo zenzero, e un ricordo di tartufo già assaggiato (e bloggato) al Vinoforum, ma ancora più buono.
Poi un altro piatto abbastanza “estremo”, che stride un po’ con la vena “pulita” della cucina di Marco Bottega ed è forse il più cerebrale (insieme alla lepre bruciata, ma in direzione totalmente opposta) dei piatti assaggiati: la vitella con limoni di Sorrento. Opulento, con la grassezza della testina appena smorzata dalle scorze di limoni della costiera e quasi esaltata invece dalla sapidità della spuma di ostriche, è un omaggio alla tradizione tutta campana del “musso” di maiale col limone che veniva venduto dagli ambulanti, e alla sua esperienza con Alfonso Caputo alla Taverna del Capitano. 



Totalmente diverso il piatto seguente, che era poi uno dei motivi della visita, visto che non ero riuscita ad assaggiarlo a Vico: il Gambero Rosso con pane, olio e sale mi è piaciuto tantissimo: un inno alla semplicità intesa come esaltazione delle materie prime, da quelle basilari della dieta mediterranea (pane, olio – sempre quello di Terre Bormane - e sale, appunto, più semplice di così…) alla materia ittica pregiata, certo, ma lasciata inalterata, fatta salva la salsa di teste di gamberi che dava lo sprint finale al piatto, insieme alla componente vegetale degli asparagi crudi.


Altro piatto (fuori carta), altri gamberi: in questo caso i più delicati gobbetti, appena scottati e serviti con verdurine croccanti e fiori e accompagnati da una maionese “acida” fatta in casa, in una composizione esteticamento molto elegante e buonissima da mangiare!



Instancabili, proseguiamo con l’insalata di polpo con patate e cicoria croccante: altro esempio geniale di come la semplicità possa essere la chiave vincente, quando ogni cosa è semplicemente perfetta: dalla texture del polpo cotto appunto alla perfezione (né gommoso, né molle) e pieno di sapore alla cremosità delle patate non del tutto schiacciate, fino al tocco croccante e leggermente amarostico della cicoria esaltato dall’extravergine, questa volta quello più intenso e deciso della casa (L’Aminta è anche un agriturismo con 55 ettare di terreno su cui crescono ortaggi, frutta, animali e olivi). Buonissimo. 


Ed ecco la lepre “bruciata” che avevo già assaggiato l’anno scorso. Marco dimostra ancora una volta di avere il coraggio per usare, e di aver tratto il meglio da due suoi maestri: Salvatore Tassa e Massimo Bottura. Questo piatto racchiude da un lato l’approccio terragno e minimale, che punta dritto al sapore, di Tassa, dall’altro la cerebralità dello chef emiliano, e il suo gusto (a volte contorto, ma che porta sempre a risultati strabilianti) per il “ripercorrere” la vita di un prodotto: ed ecco il gioco di temperature e cotture per riportare la carne – una carne non facile, poi – al suo sapore originario, una specie di “crudo non crudo” finito dall’”illusione” della crosticina bruciata in superficie che in realtà è data dal carbone vegetale, che aggiunge anche un tocco pepato e balsamico al piatto.

Ma il bello deve ancora venire: il piatto del giorno (ma direi che ha buone possibilità di candidarsi a piatto dell’anno) è Pane e porchetta: sei tortelli disposti su una lastra d’ardesia, apparentemente senza condimento eppure capace di mantenersi morbi e succosi a lungo. Il segreto è nell’impasto – fatto con le uova embrionali secondo la tradizione pulp emiliana/botturiana (quelle, ci racconta Marco, prelevate dalla gallina ammazzata prima che le deponesse, quindi non ancora del tutto sviluppate e più ricche di materia proteica) e con la farina “tagliata” con una percentuale di crosta di pane macinata, per ridurre la carica glutinica dell’impasto e dare un sapore di “pane” – così come nel ripeno, a base di porchetta cotta al forno a legna, con tutto il suo sapore pieno e verace. 


Leggermente affaticate proseguiamo con il lombo di agnello allo spiedo con crema di erbe della nostra campagna. Anche qui presentazione elegante, cottura perfetta e grande equilbrio tra gli ingredienti, con la delicatezza della crema per nulla coperta dal sapore (presente, ma discreto) della carne e ravvivata dalle molliche di pane croccante all’olio. 







Non si sa come arriviamo in fondo anche al dessert, una coppa di yogurt di capra con frutti di bosco mandorle e cioccolato Guanaja molto più fresca e delicata, grazie alla componente acida, di quello che ci si sarebbe potuti aspettare a prima vista.







Insomma, un pranzo eccellente – terminato con la visita all’orto e alla nuova cantina dove sono conservate non solo le bottiglie di vino ma anche salumi pregiati e altri prodotti “autarchici” o meno, da acquistare o assaggiare in occasione di merende rustiche alla tavolata di legno – inframezzato da un’interessante chiacchierata con Marco che, al di là dei suoi modi scanzonati e sempre allegri, si dimostra non solo uno chef di alto livello e di grande esperienza, ma anche e soprattutto una bella persona.

AMINTA RESORT
Via Trovano 5
Genazzano (Roma)
Tel: +39.06.9578661 

www.amintaresort.it
 

3 commenti:

  1. ma come fate a magnare tutto questo!? :-) in ogni caso confesso questi piatti non mi ispirano molto!

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  2. Questione di allenamento... e di porzioni giuste :)

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