mercoledì 24 agosto 2011

La pomidorata, I San Marzano e le mie "madeleines"

Due sono – anzi erano - le persone indossolubilmente legate ai miei primi ricordi che abbiano a che fare con il cibo, e alla mia infanzia in generale. Una è Tata (non “la tata” ma Tata, che si chiamava Concetta o Titina, e quindi per me Tata era solo un altro diminutivo e non una definizione “professionale”), che con santa pazienza ci faceva fare gli gnocchi insieme a lei, ci regalava le melanzane sottolio e il sanguinaccio col sangue di maiale fatti in casa, ci portava a prendere le uova appena fatte dalle galline dal contadino di fronte – a Napoli!- che le calava col cestino e che - quando io e mia sorella eravamo troppo scalmanate - ci diceva:” ma che avete mangiato oggi, polvere di piselli e culo di gallina?”.
 
Poi c’era mia nonna.
Mia nonna che aveva vissuto due guerre e “non si butta via niente perche’ è peccato”, mia nonna a cui piaceva il vino e quando aveva finito l’insalata ne versava un goccio nel piatto e ci faceva la scarpetta. Mia nonna che viveva in una casa bellissima e piena di misteri, con tanto di giardino incantato in cui perdersi e inventarsi mille giochi. Mia nonna che tutto quello che toccava in cucina diventava buonissimo, anche le cose piu’ semplici: le zeppolette cosparse di zucchero, le pizzette fritte ripiene di ricotta e salame, la granita di limone nelle vaschette di alluminio per il ghiaccio, la fettina di carne cotta direttamente sul fornello (in tempi pre-metano); perfino il riso con gli spinaci che mi toccava come una condanna almeno una volta a settimana, quando lo faceva lei era piu’ buono (per la cronaca, mia madre sa cucinare ma per principio fa bene solo alcune cose tra cui le verdure e, ahime’, tutto quello che è fritto).

Mia nonna mi manca spesso, ma c’è un periodo dell’anno in cui avverto la sua mancanza in modo particolare.
È quando arriva l’estate, e con lei la stagione dei San Marzano (oggi tutelati dalla Dop "Pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino") quei pomodori stretti e lunghi con un sapore unico, un piccolo miracolo della terra campana ormai quasi scomparso, e bisogna stare attenti alle imitazioni. La loro stagione durava poco, qualche settimana tra agosto e settembre. Dovevano essere maturi al punto giusto, insaporiti dal sole e dal terreno, era questione di poche settimane e poi sarebbero di nuovo scomparsi dalle casse dei fruttivendoli.
Ogni anno aspettavamo con trepidazione quel momento, fino a che non avesse trovato i pomodori che diceva lei: solo allora ci avrebbe preparato la pomidorata

Difficile descriverla: una salsa? Una crema? Cercando su internet con questo nome ho trovato la ricetta di una “banale” salsa di pomodoro per condire la pasta. In fondo anche la sua pomidorata era banale – cipolla, pomodoro, olio – ma il risultato era semplicemente fantastico, indimenticabile. Una specie di “riduzione” del pomodoro alla sua essenza, da spalmare sul pane con qualche scaglietta di Parmigiano sopra. 
Che origine aveva? Che c’entrava il Parmigiano coi San Marzano? Non so dirlo, ma so che era buonissima, piccoli morsi di felicita’.

Quest’anno mia madre ha provato a farla, a memoria perche’ nessuno aveva mai pensato di chiedere a mia nonna di mettere per iscritto quella “ricetta” semplicissima.

Ovviamente, si è trattato di un compromesso: ha tagliato sottili le cipolle (ma erano quelle rosse di Tropea, e invece sono sicura che ci volessero quelle ramate, quasi dolci ma saporite) e le ha fatte appassire nell’olio extravergine. Poi ci ha aggiunto la polpa dei pomodori (abbastanza maturi, ma non “quelli li”, tra  l’altro pare che quest’anno per lo meno in Cilento non siano venuti su bene, e quindi addio conserve) spellati e privati dei semi. 
Ha fatto cuocere tutto a fuoco lento: prima è diventata una normale salsa, appunto, ma la cottura è proseguita fino a che il pomodoro non si è ristretto di oltre la meta’ diventando un “composto” scuro (quasi bordeaux) e piuttosto denso, quasi come una marmellata. Entrambe ricordiamo che quello di mia nonna era un po’ meno denso, piu’ spalmabile e piu’ oleoso. Quindi forse ci voleva piu olio, sicuramente piu’ cipolle.
Una volta spalmato su un pezzetto di pane e coperto con una scaglia di Parmigiano pero’, il risultato non era poi cosi’ lontano dall’originale. 

Riassaggiare la pomidorata mi ha riportato alla mente tanti ricordi quasi perduti: mia nonna che ci insegnava a fare le caramelle d’orzo sul tavolo di marmo nella sua cucina, le volte che andavo a dormire da lei e guardavamo insieme l’Ispettore Derrick, il suo divano giallo a fiori, la vasca con i pesci, il pianoforte che non sapevo suonare, le sue domande che mi facevano innervosire, i suoi sguardi silenziosi di rimprovero.

L’anno prossimo ci si riprova.

1 commento:

  1. Il giornale che metteva sul petto per non prendere freddo, le luci delle auto nel soggiorno buio, che guardava sulle rampe. L'officina sotto al vetro, che chissa da dove ci si arrivava. Le nespole che cadevano e noi buttavamo giu'. La signora rosa al piano di sopra. La collana di perle. Le volte che la trattavamo uno schifo e lei diceva sempre 'vi pentirete quando non ci saro' piu'. Aveva ragione. QUanto vorrei che ci fosse stata un po' di piu'.

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